Non pochi quotidiani pubblicano in questi giorni diversi servizi con foto, didascalie e commenti su persone di diversa notorietà morte nell’anno che si sta chiudendo. Uomini e donne che in Italia e nel resto del mondo hanno lasciato tracce di differenti intensità nei molteplici campi dell’agire e del pensare.
Inavvertitamente il lettore, nello scorrere quei profili e nel rivedere quei volti, è portato ad allungare l’elenco con il ricordo di persone meno note ma vissute accanto a lui, nel suo territorio.
È una storia breve, costruita su notizie non ancora raffreddate.
È un esercizio della memoria che puntualmente si ripropone allo scadere di ogni anno.
In verità la cronaca, che di quelle persone si era tanto occupata, sembra ritrarsi per lasciare spazio alle riletture e alle riflessioni.
C’è indubbiamente un po’ di tristezza in quei servizi anche se nelle fotografie e nelle righe che le accompagnano si possono cogliere straordinari frammenti di affetto, di dolore, di speranza.
Così alla fine di un anno, nella lettura di pagine che si voltano in punta di dita, si riaccende il dialogo tra la memoria e l’oblio.
Dialogo e non conflitto perché queste due dimensioni, profondamente umane, convivono in ogni persona. Rilanciano la riflessione sul limite e, nello stesso tempo, spingono il pensiero verso grandi orizzonti.
Senza forse volerlo è proprio la cronaca, con le sue regole e i suoi linguaggi, a proporre il percorso della memoria e dell’oblio che si snoda in paesaggi umani illuminati o non illuminati dalla fede.
Il bisogno di ricordare e il bisogno di dimenticare continuamente s’incrociano.
Scorrendo quelle pagine di fine anno, dove limite e infinito s’incontrano sempre sotto traccia, ci si rende conto che nei media c’è spazio per il silenzio, il pensiero, la ricerca.
Non solo. Nei racconti di vita concluse nell’arco degli ultimi dodici mesi si affaccia soprattutto la domanda sul “dopo”, la domanda che da sempre accompagna l’uomo.
Credenti e non credenti, se lo vogliono, possono lasciarsi interrogare da quei racconti pieni di domande e nella ricerca di risposte diventano compagni di viaggio sulla strada dell’inquietudine e della speranza.
Si può davvero cogliere tutto questo nelle pagine dedicate alle persone morte nell’anno giunto a conclusione? Non è una pretesa eccessiva?
La risposta dipende da come si legge, da come si guarda, da come si ascolta. Con il suo linguaggio spesso crudo la cronaca può comunque bussare alla coscienza, può far nascere domande di significato che altri non riescono a trasmettere con pari efficacia. La cronaca può essere una buona maestra come lo è in questi giorni nell’affidare alla memoria le notizie di un anno.
È un gesto scontato, un gesto incompreso, un gesto letto con eccessivo ottimismo? Potrebbe essere tutto questo. Ma potrebbe anche essere il gesto umile di chi, dopo aver dato il meglio della propria professionalità, è consapevole che nel limite non c’è la rassegnazione e neppure la resa. C’è l’appello a guardare oltre.
Paolo Bustaffa