Un irriconoscibile Leo Gullotta in “Le allegre comari di Windsor”, capolavoro comico di Shakespeare

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E’ un irriconoscibile Leo Gullotta, reso grottesco da barba e capelli rossicci e soprattutto da un enorme pancione in lattice, tornato per l’occasione, dopo ben 51 anni dal suo debutto, al teatro Verga di Catania, a rivestire il ruolo, gravoso è proprio il caso di dirlo visto i 30 chili del costume di scena, del cavaliere Sir John Falstaff, l’ esuberante quanto sovrabbondante protagonista de Le allegre comari di Windsor, il capolavoro comico di William Shakespeare.

Ospitato dal Teatro Stabile di Catania e coerentemente inserito nella stagione “Donne. L’altra metà del cielo”, dopo una tournèe di successo nei maggiori teatri italiani, questo allestimento del Teatro Eliseo ripropone l’incalzante crescendo comico dell’opera shakesperiana nella traduzione di Fabio Grossi e Simonetta Traversetti, per una regia firmata dallo stesso Grossi.

Un adattamento che pur rispettando pienamente la struttura originaria dell’opera così come voluta e pensata dall’autore, strizza l’occhio a vezzi e vizzi contemporanei, con un esplicito richiamo dei nostri tempi e delle nostre vicende sociali.  La leggenda, riferita per la prima volta da John Dennis nel 1702, vuole che proprio la regina Elisabetta I imponesse a Shakespeare di riesumare il personaggio a lei particolarmente caro di Falstaff, fatto morire nell’opera precedente l’Enrico V; nacque così in soli 14 giorni Le allegre comari di Windsor, commedia dall’ articolato intreccio narrativo, incentrato sulla figura di Sir John e sui temi della diversità e dell’ipocrisia: “Attraverso l’immagine di questo grande e grosso cavaliere – ha sottolineato il regista Fabio Grossi – abbiamo voluto raccontare la storia di un diverso all’interno di una società cinica in cui si insegue il denaro e il successo sociale. Falstaff è la nota che disturba, tant’è che tutti cercano di coinvolgerlo in uno scherzo per sminuire quella che è la sua figura e farne bersaglio”.

Con le sue  smargiassate da guascone, l’enorme figura che riflette l’esuberanza dello spirito, la pletorica simpatia cialtrona, e la sua endemica disonestà viziosa e bonaria, Falstaff può essere considerato un diverso, sia per il verbo sia per l’ immagine, un avverso al presupposto bigotto di una società borghese. Stigmatizzazione dei costumi perfettamente portata in scena da Leo Gullotta, eclettico e fortemente comunicativo, affiancato da un nutrito cast che annovera tra gli altri Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini. Scene e costumi sono invece di Luigi Perego ( colpisce l’enorme figura polifunzionale con le sembianze di Elisabetta I che domina la scena, come a sottolineare il fatto che dopo secoli di distanza anche questa moderna edizione nasce, se pur con grande ironia, sotto l’occhio vigile e severo della Virgin Queen), le musiche di Germano Mazzocchetti, le coreografie di Monica Codena e le luci di Valerio Tiberi.

Commedia del 1537, Le allegre comari di Windsor propone un ventaglio di più svariata umanità e descrive in maniera leggera ma graffiante una società dell’epoca in cui ad avere la meglio per furbizia e intelligenza sono le donne. Falstaff tenta infatti di corteggiare contemporaneamente due ricche signore, azione che lo esporrà al desiderio di riscatto e di vendetta degli altri personaggi, generando una concatenazione di inganni e scherzi perfidi, simbolo di una società che tende a ripetere i suoi stilemi nei confronti di chi viene considerato un diverso sia per aspetto che per attitudine ed usi. Alla fine trionfa il piacere della sopraffazione più che della giustizia. Falstaff sveste i panni dello sbruffone, ammonisce lo spettatore sul senso grottesco della vita e chiude la pièce con una acuta considerazione: in un mondo di meschini, il più meschino è re.

Monica Trovato