Università / Proteste degli studenti: la forza della tirannia è l’ignoranza

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Tra gli scontri e le proteste che in questi giorni stanno infiammando l’opinione pubblica, si usa spesso e volentieri l’espressione “dittatura”. Forse senza cognizione di causa, facendo appello ad una blanda conoscenza storica e costituzionale. In realtà, i primi veri bersagli delle “dittature” sono sempre stati gli studenti. E oggi, è proprio l’università con i suoi studenti, a rendersi protagonista di storiche proteste contro il potere. Queste notizie, passate in sordina nelle cronache nazionali, raccontano di lotte vinte, perse e di paesi in cui le scuole sono quasi scomparse.

Una “magnifica sconfitta” europea

In Ungheria, gli studenti universitari hanno osato sfidare il monolitico potere di Orbán pur sapendo che avrebbero perso. L’unico partito di governo, Fidesz ha lentamente assunto il controllo di tutto, dall’informazione all’istruzione. Tutte le università sono gestite da fondazioni affiliate al partito. Nel 2020, gli studenti della SZFE, accademia di cinema e teatro, hanno reagito occupando l’università per mesi. La protesta è stata repressa dal governo. Ad oggi, gli ex insegnanti continuano ad insegnare privatamente agli studenti, consentendo loro di laurearsi in altri atenei europei.

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Studente nelle proteste del movimento “Free SZFE” in Ungheria

Orbán, il leader di governo, pretende di ottenere i fondi europei pur violando i diritti umani. Salvo poi usare i fondi per corrompere i suoi funzionari, mentre la quasi totalità dei cittadini ungheresi vive al di sotto della soglia di povertà. E non lo nega: nei suoi discorsi annuncia fieramente di sentirsi un ussaro (nobile cavaliere) che vive da betyar (bandito). Coerente con questa strategia, ha deciso di trasformare i dormitori per gli studenti a basso reddito in un’università elitaria per studenti cinesi. Il motivo? Offrire un potenziale cavallo di Troia all’interno della NATO e dell’UE per i servizi segreti cinesi. Inutili le proteste.

Pane istruzione e libertà

In Grecia, gli studenti sono scesi in piazza al grido di “Pane istruzione e libertà”, per contestare l’istituzione di un corpo di “polizia universitaria”: l’unico in tutta Europa. L’obiettivo formale di questa squadra è quello di prevenire eventuali violenze di gruppi politici estremisti. Motivazione poco convincente per un paese che vanta numerosi casi di abusi da parte delle forze dell’ordine. Piuttosto, questo controllo serrato sembra mirato a reprimere i luoghi dove si coltiva la libertà di pensiero critico.

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La “mattanza” al Politecnico di Atene, 1973.

A detta di numerosi studiosi greci, questa ingerenza indebita ricorda gli scontri tra polizia e università del ‘73. In quell’anno gli studenti del Politecnico di Atene stavano protestando contro il “Regime dei colonnelli”. La polizia sfondò i cancelli con i carri armati uccidendo 24 persone. Anni dopo, i torturatori sono tornati nei campus sotto copertura. Da sempre le università greche subiscono un certo controllo governativo. Infatti è da lì che si sono sviluppate molte delle proteste e manifestazioni di dissenso contro il potere politico da parte degli studenti.

Vittorie e sconfitte nella Turchia di Erdogan

Di recente gli studenti della prestigiosa Università del Bosforo si sono opposti alla nomina con decreto presidenziale del rettore Melih Bulu, già candidato nel 2015 col partito di Erdogan. Ogni giorno, docenti e studenti si sono riuniti davanti alla finestra dell’ufficio del rettore, voltandogli le spalle come segno di dimissioni. Questa manifestazione pacifica è stata repressa dalla polizia con gas lacrimogeni e proiettili di gomma.

Oltre 600 manifestanti (secondo le stime ufficiali) sono stati arrestati. Alla fine l’università ha vinto: la nomina del rettore è stata revocata. Eppure, gli studenti turchi continuano a subire le conseguenze della politica di Erdogan. Al momento, molti studenti universitari non riescono a trovare alloggio visto che i costi immobiliari sono quadruplicati, divenendo proibitivi. Il governo, inerte spettatore della crescente inflazione, non sa più come rispondere alle loro istanze: nelle università, le proteste degli studenti continuano.

Nessuna voce di protestayemen guerra civile

In alcuni paesi del mondo, la vita degli studenti è ancor meno pacifica. In Cina e Afghanistan, le proteste sono represse duramente e gli insegnamenti rimodellati alle esigenze del regime. Invece pochi chilometri più in là, nello Yemen, non è rimasto più nessuno a protestare. Nel paese, martoriato da 6 anni di guerra civile, tutti sono impegnati a salvarsi le vite. Ogni giorno le famiglie spostano i propri accampamenti secondo l’evoluzione della guerra. Il collaboratore UNHCR, Marco Rotunno, intervenuto in una conferenza con gli studenti di Scienze Politiche dell’Università di Catania, ha raccontato come il fronte della guerra in Yemen sia mobile.

Da un giorno all’altro le famiglie possono trovarsi da un lato o all’altro della guerriglia. Le poche scuole che non sono state bombardate, sono adibite a rifugi o ospedali. Ci sono intere generazioni analfabete, nate e cresciute nella guerra, che non vedono prospettive future. Anche per chi è istruito ci sono pochissime possibilità: non ci sono trasporti aerei per uscire dal paese. Inoltre, le uniche nazioni disposte ad ospitare studenti yemeniti sono India, Egitto e Sudan.

Il pensiero unico

In conclusione, ciò che davvero teme un regime autoritario sono la libera conoscenza e lo spirito critico: virtù che nascono dallo studio dei manuali, non da qualche post sui social. Bisogna difendere la cultura, abbattendo gli ostacoli economici e non delle università. Inoltre, gli studenti di tutto il mondo devono sentirsi sicuri. Non è ammissibile che uno studente messicano debba temere per la propria vita andando a lezione. Tutti devono poter apprendere liberamente, senza manipolazioni di sorta. È una priorità.

Cristina Di Mauro