Vaiolo delle scimmie / Cauda (Università Cattolica): “In Europa il rischio è basso ma affidarsi alla prudenza”

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Il vaiolo delle scimmie torna a far parlare di sé. A distanza di due anni dalla precedente epidemia che ha toccato alcune aree centrale dell’Africa e l’individuazione di alcuni casi anche nei Paesi occidentali, fra cui l’Italia, l’infezione registra una nuova impennata.
Nella sola Repubblica Democratica del Congo, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sarebbero già 14mila i contagi e 524 i decessi. Vista la crescita dei numeri, la stessa Oms il 14 agosto ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria di rilevanza internazionale e solo ieri l’autorità sanitaria nazionale svedese ha annunciato di aver individuato il primo caso importato della malattia, trasmessa dal virus Mpxv ed in particolare dal ceppo clade I.

In Italia, il ministero della Salute ha precisato che la situazione è sotto controllo ma che allo stesso tempo si stia lavorando per rafforzare la rete di sorveglianza diagnostica. Per Roberto Cauda, docente di malattie infettive dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, alle nostre latitudini occorre affidarsi alla prudenza nel caso in cui si provenga dalle aree endemiche.

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foto Ansa/Sir

Professore, non è la prima volta che l’Oms lanci un allarme globale per il vaiolo delle scimmie

L’Oms aveva già lanciato l’allarme a cavallo fra il 2022 e il 2023, poi l’epidemia è andata scemando, sebbene il virus Mpxv sia rimasto endemico in Africa. La recente recrudescenza ha di nuovo portato l’Oms a porre l’accento su ciò che sta avvenendo in quelle aree. Perché la situazione di emergenza permette con maggiore facilità di attivare procedure per contenere la diffusione in aree del mondo a basse risorse economiche e in situazioni sanitarie non ottimali.

Già nella epidemia 2022-23 ci sono stati casi fuori dall’Africa, in Italia, per esempio, ne sono stati contati circa un migliaio. La malattia in Europa e nei Paesi del Nord America non è endemica ma possono verificarsi dei casi di importazione come quello avvenuto in Svezia. Bisogna evitare casi secondari che possono determinare una catena di trasmissione.

Come avviene il contagio?

La vaiolo delle scimmie (in inglese Monkey pox oggi definito Mpox) non è il Covid 19
Il contagio avviene prevalentemente con contatti prolungati intimi anche di natura sessuale o comunque stretti e assai raramente per via respiratoria. C’è una differenza rispetto alla precedente epidemia del 2022-23. Il claid, vale a dire la tipologia di virus, allora era il 2 mentre quello di adesso è il claid 1B che ha caratteristiche diverse. E vede in particolare colpiti in una percentuale non piccola intorno al 30% i bambini ed anche le donne in gravidanza e i soggetti immunodepressi che possono avere un’evoluzione più grave.

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foto Ansa/Sir

I numeri ufficiali sono finora di 17mila casi, di cui 14mila solo nella Repubblica democratica del Congo

La diagnosi di certezza si fa con strumenti di biologia molecolare perciò parlando di Paesi in cui le tecniche di diagnosi non sono così diffuse c’è il legittimo sospetto che i numeri siano sottostimati.
La letalità finora è stimata intorno al 3-4%. L’European centre for disease prevention and control (Ecdc) ha quantificato il rischio come molto basso per l’Europa. Ma c’è la consapevolezza che in un mondo globalizzato la possibilità che giungano casi da Paesi dove la malattia è endemica.

Come si cura il vaiolo delle scimmie?

Il claid 1, rispetto al claid 2, è più aggressivo anche se la trasmissibilità è buona in entrambe le forme.
La malattia dura dalle due alle quattro settimane con una evoluzione che ricorda in forma meno grave il vaiolo con febbre, malessere generale, ingrossamento dei linfonodi ed eruzione cutanea. Nelle forme più gravi c’è il coinvolgimento degli organi vitali che può portare alla morte.

Per la cura, esistono dei farmaci cosiddetti riposizionati perché studiati inizialmente per il vaiolo malattia scomparsa dal 1980. Quello su cui tutti puntano, a livello di sanità pubblica, è la vaccinazione per le categorie a rischio. Esiste un vaccino efficace, contenente un virus vivo attenuato, approvato negli Stati Uniti e in Europa.

Crede che verrà consigliata anche in Europa e in Italia la vaccinazione a scopo preventivo?

Non credo ci sarà una vaccinazione di massa perché il rischio è basso, inoltre chi è nato prima del 1980 è stato sottoposto a una protezione antivaiolosa. A questo proposito, uno studio importante internazionale ha rivelato come il vaccino antivaiolo abbia una valenza preventiva e protegga dalle forme più gravi della malattia nell’85% dei casi.

Il messaggio alle nostre latitudini quale dovrebbe essere?

Abbiamo ancora negli occhi le immagini drammatiche della pandemia ma occorre distinguere le situazioni rispetto alla realtà.
Questa epidemia non possiamo dire che non ci interessa, non possiamo lasciare da sole delle persone in Africa senza cure o protezione. Ma al di là di questo, ricordiamoci che ci potranno essere casi di importazione così come già è avvenuto due anni fa. L’importante è che ci sia una attenzione da parte dei medici nell’individuare i sintomi e una responsabilità da parte delle persone che sono state in alcune aree a rischio a considerare questa evenienza.

In Italia e nei Paesi più sviluppati bisogna avere contezza che questi casi possono capitare, anche in forma secondaria. In caso di sospetto o in caso di manifestazioni cutanee occorre rivolgersi ai sanitari che devono essere pronti ad affrontare questa minaccia.


Elisabetta Gramolini

 

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