Valverde / Marinella Fiume alla Pro Loco racconta storie di donne escluse e la sua passione per i simboli

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Si è tenuto ieri, sabato 7 settembre, l’incontro organizzato dalla Pro Loco di Valverde con l’autrice siciliana Marinella Fiume, che ha presentato il suo libro “La bolgia delle

Marinella Fiume e Nadia Russo

eretiche”, ricco di riferimenti storico – sociali. La scrittrice ha pubblicato saggi, tra cui “Sicilia esoterica”, romanzi, biografie, epistolari e curato il dizionario “Siciliane”.
“La Bolgia delle eretiche” è un romanzo allegorico sulla donna che si misura con la scrittura e il potere, dal 1500 ai nostri giorni. Racconta di figure di donne realmente vissute –  l’autrice le ricostruisce su fonti inedite – forti e pronte a difendere i loro ideali a costo della vita. Si tratta di eretiche siciliane collocate nella bolgia infernale; ricordiamo  Ursula, venditrice di pianelle, condannata dal Tribunale del Sant’Uffizio alla fustigazione, suor Agueda, arrestata come quietista, Francisca, accusata di essere strega e condannata alla damnatio memoriae.

“Mi sono occupata delle donne siciliane andate a finire al tribunale dell’inquisizione. Erano donne autonome, libere, capaci di scegliere”, ha detto l’autrice.
“Ci finivano anche le guaritrici popolane. Se il malato moriva, la famiglia andava al tribunale e raccontava della guaritrice; se il malato si salvava, si spargeva la voce e questa veniva condannata per eresia”.
“Francisca di Bronte aveva ricevuto la condanna peggiore, ha protetto fino all’ultimo le sue idee, pur sotto interrogazione e tortura”, ha proseguito, tra l’altro l’autrice. Riteneva di essere una “santa viva”. Ha scritto libri di teologia e “viene presa. In cella, dietro al capezzale del letto, si accorge di un vuoto. Ogni giorno scava il muro con l’ago che le davano per cucire il saio. Comprende che quella è per lei una via di fuga; con una fune si cala dal buco ma la corda si spezza e si sfracella nel cortile del carcere. I carcerieri, che non l’hanno potuta ammazzare, la bruciano in effigie e la condannano alla damnatio memoriae, nessuno poteva parlare di lei”, conclude.

Il libro parla anche di Garronfola, affittaletti della flotta spagnola di stanza a Messina, Gertrude, condannata al rogo come molinosista, e poi di Sofonisba, Peppa la cannoniera, Mariannina. A leggere frammenti del testo Nadia Russo.

Abbiamo chiesto all’autrice di raccontarci un po’ di lei, della sua vita e della sua passione per la scrittura.
“Sono originaria di Noto, in provincia di Siracusa. Mio padre faceva il capostazione. Verso i 12 anni sono stata «trapiantata» da mio padre a Fiumefreddo di Sicilia. Mi sono laureata in lettere classiche all’università di Catania. Ho insegnato italiano e latino per quasi 40 anni. Sono una molto curiosa, che ricerca. Scrivo per lo più romanzi dove c’è una forte base di documentazione storica; mi piace molto documentarmi e scrivere. Non sono una storica, ma un’appassionata di una certa storia che, in particolare, è quella che gli uomini non hanno mai fatto, la storia delle donne. Una delle cose più importanti che ho fatto è stata quella di curare l’unica enciclopedia che s’ intitola “Siciliane”, rintracciando le biografie di 333 donne siciliane sconosciute, escluse dalla grande storia. Io ho curato il dizionario, In realtà le biografie sono state fatte dagli specialisti dei vari settori. L’intento era quello di fare uscire dall’oblìo le donne escluse dalla storia; è stato un gran lavoro che ho svolto come saggista. Un’altra mia grande passione è per la Sicilia e per i simboli. Questa parte di me viene considerata di solito irrazionale, che è la capacità di intuire forme, e quello che c’è dietro. Ho cercato di fare un viaggio in Sicilia recuperando luoghi misteriosi o particolarmente fertili e ricchi di simboli, che nessuno ha mai letto in questo modo. Dico sempre, per esempio, che noi in Sicilia alziamo la mano verso l’albero, raccogliamo la melagrana e ne mangiamo i chicchi, ma non sappiamo che abbiamo a che fare con un frutto esoterico, che ha tantissime simbologie. È un frutto con il quale molte dee anticamente erano state scolpite, raffigurate; è un frutto che significa abbondanza, perfino la Comunità economica europea l’ha preso come simbolo, tutti questi chicchi stretti fra loro simboleggiano la fratellanza, è il simbolo della fecondità. I simboli sono quelli che accomunano perché vengono da società e da epoche ancestrali. Di ciò ne parlo in “Sicilia esoterica”».

Graziella De Maria

 

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