Conferito a Francesco il Premio Carlo Magno 2016 davanti alle più alte cariche dell’Unione europea. Nel suo discorso, un vero “trattato”, Bergoglio usa soprattutto due verbi – “osare” e “sognare” – e auspica un “nuovo umanesimo europeo”, all’insegna di tre altri verbi: “integrare, dialogare e generare”. Per “aggiornare” l’Europa, serve “una trasfusione di memoria” che recuperi la lezione di Schuman, De Gasperi, Adenauer. No a “ritocchi cosmetici”, serve “solidarietà di fatto”. Solo una “forte integrazione culturale” può essere l’antidoto a “paradigmi unilaterali” e “colonizzazioni ideologiche”. Dare lavoro ai giovani, “protagonisti” dell’Europa. La missione della Chiesa è quella di sempre: “Ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa”. Alla fine, otto declinazioni concrete del “sogno”.
“Che cosa ti è successo, Europa?”. Parte da un’accorata domanda, il discorso pronunciato da Papa Francesco in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno: uno dei più lunghi del pontificato, che per i toni e i contenuti acquista la fisionomia di una sorta di “trattato” consegnato alle più alte cariche dell’Unione europea, presenti – con la cancelliera tedesca Angela Merkel, ricevuta subito prima in udienza – nella Sala Regia per assistere al conferimento del Premio Carlo Magno 2016. Bergoglio è il secondo pontefice ad aver ricevuto il prestigioso riconoscimento dopo Giovanni Paolo II, per il suo “straordinario impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori”. “Sono convinto che la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa”, l’incoraggiamento di Francesco, che ha usato due verbi ricorrenti – “osare” e “sognare” – per auspicare un “nuovo umanesimo europeo”, bastato su altri tre verbi: “integrare, dialogare e generare”. Alla fine del discorso, la platea si è alzata unanime per una prolungata “standing ovation”.
La fotografia da cui parte il Papa è quella usata nel suo discorso al Parlamento europeo: l’Europa “nonna”, “stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali” che l’hanno ispirata sembrano aver perso forza attrattiva; “un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice”. Un’Europa, in sintesi, “tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione”, che si va “trincerando”, che vuole “proteggere spazi” più che rendersi “generatrice di processi”.
Per “aggiornare l’Europa”, serve “una trasfusione di memoria”, dice Francesco citando Elie Wiesel, lo scrittore sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, e mettendo in circuito virtuoso il passato e il presente del nostro Continente. “La trasfusione della memoria – la tesi del Papa – ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana”. L’esempio da seguire è quello dei padri fondatori dell’Europa, più volte citati, che “seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra” ed “ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni”.
No, allora, a “ritocchi cosmetici”: serve una “solidarietà di fatto” per “costruire ponti e abbattere i muri”.
Solo una “forte integrazione culturale” può essere l’antidoto a “paradigmi unilaterali” e a “colonizzazioni ideologiche”, tuona il Papa, che auspica “coalizioni” non più “solamente militari o economiche ma culturale, educative, filosofiche, religiose”, per “armare la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro” e imparare a guardare “lo straniero, il migrante, come un soggetto da ascoltare”.
Sono i giovani i protagonisti dell’ultima parte del discorso: rappresentano “il presente”, non il futuro dell’Europa, per non perderli e renderli “protagonisti” bisogna dargli “posti di lavoro dignitoso e ben remunerato”. Per realizzare questo obiettivo, bisogna passare “da un’economia liquida a un’economia sociale”.
“Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa”, perché “solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa”.
Il “compito” della Chiesa per l’Europa “coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante”.
“Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, un costante cammino di umanizzazione, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia”.
Il paragrafo finale del discorso del Papa declina il verbo “sognare”, che per Francesco non ha nessun connotato di astrattezza. “Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre”, le sue parole: “Una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”.
M.Michela Nicolais
(Fonte: AgenSir)