In attesa del ritorno alla normalità, dopo il lungo periodo di stasi per la maggior parte degli italiani, ciascuno di noi pensa al domani.
Come ci troverà o come ci lascerà questo tempo sospeso tra un rigore sancito da regole da rispettare e un bisogno di rendersi utili nella ricerca personale di non vanificare questi sacrifici imposti dal timore del contagio?
Penso alle tante famiglie che, non lavorando, non producono reddito e sono costrette a ridurre i consumi; a quelle aggravate dal disagio dovuto alla presenza di persone invalide o di anziani bisognosi di cura e protezione; ai tanti bambini rimasti a casa per tanto tempo, impediti a muoversi in spazi liberi e all’aperto; a quanti – disoccupati e irregolari, lavoratori in nero, malpagati e instabili, con lavori occasionali e mutevoli nel tempo e nei modi.
Cosa verrà allo scoperto di tanta povertà e irregolarità quando non ci saranno più i pacchi della spesa, offerti dalla Caritas o dalle parrocchie, dal Comune e dalle molte organizzazioni del volontariato organizzato civile e religioso?
Sarà possibile cogliere questo stato di emergenza come un’opportunità per riconoscere e costruire una vera mappatura delle famiglie e del loro stato di salute (non solo sanitario ed economico, ma del benessere globale della persona, quale la stabilità, la serenità, come consistenza di ogni famiglia e di ogni persona del territorio)?
Sapremo riconoscere quanto i nostri concittadini siano bisognosi di cura, perché soli e/o incapaci di provvedere alle loro necessità primarie (cibo, igiene, salute fisica e psichica, protezione e cura in genere per la loro quotidianità, in riferimento ad anziani, a invalidi, a famiglie multiproblematiche)?
Non sarà questo un tempo favorevole in cui riconoscere la reale situazione in cui, emergendo i bisogni e chiedendo aiuto, le famiglie siano messe nelle condizioni di ricevere garanzie e supporti dalle varie istituzioni pubbliche e private per rivedere il loro sistema famiglia e inventarsi un nuovo modello sociale capace di sostenerle nel loro evolversi quotidiano?
Penso a tutte quelle realtà che spesso sono tenute velate o nascoste da omertà o da irregolarità (lavori abusivi, occasionali .. ), o di quei rapporti interpersonali travagliati o instabili, all’interno delle famiglie, nell’ambiente di lavoro o nella società.
Io credo che, conoscendo meglio i bisogni della loro quotidianità, in questo tempo di emergenza, possa essere questo anche un tempo favorevole per un aiuto finalizzato a cambiare in meglio il modello di vita proprio in quelle molteplici situazioni di difficoltà in cui versano molti dei nostri concittadini.
Nell’emergere dei bisogni, si possono meglio riconoscere le cause del malessere e proporre opportunità di soluzione e di aiuti concreti; si possono trovare nuove e inedite risorse e recuperane altre valide e propositive; tentare interventi possibili di cambiamento, riguardanti il lavoro irregolare con proposte di lavoro regolare e mediante supporti all’interno della famiglia.
In questa fase di emergenza in cui abbiamo visto come tutte le risorse possibili sono emerse e hanno dato il meglio di sé (penso al volontariato organizzato e alle molte associazioni civili e religiose unite alle istituzioni pubbliche e a quelle riconosciute dallo Stato), siano anche per il futuro da valorizzare e costruire insieme alle istituzioni energie propositive e vitali per una società che offra ad ogni cittadino, ad ogni persona che vive nel nostro territorio una vita umana dignitosa.
Se vogliamo che la nostra società sia civile dobbiamo poter offrire ad ogni cittadino opportunità per vivere dignitosamente la propria vita nella comunità del proprio territorio con la propria famiglia, garantendo in tutti i modi i mezzi di sussistenza necessari al suo benessere psico-fisico. Per questo c’è bisogno che ogni cittadino si senta responsabile e attento ai bisogni di chi gli sta accanto, perché nessuno rimanga nella solitudine e nell’abbandono.
Ciascuno di noi può essere il Cireneo di turno o il Samaritano del Vangelo, vigilando e prendendosi cura di chi gli sta accanto o anche facendosi semplicemente voce di chi non ha voce.
Teresa Scaravilli