I media hanno il diritto-dovere di raccontare quel che accade sulla scena politica, con tutte le sue contraddizioni. Talvolta decidono di prendere posizione e questo fa parte della dialettica democratica. Ma in questa occasione quel che sembrerebbe più necessario è aiutare ciascun cittadino a formarsi un giudizio personale, fornendo con onestà intellettuale elementi conoscitivi sui temi in gioco e sulle implicazioni delle scelte da compiere. E’ questo il compito che anche noi cercheremo di assolvere.
Quali che siano le opinioni sul merito del referendum costituzionale e nonostante una dialettica dai toni aspri, spesso sopra le righe, su un punto almeno è possibile convergere al di là degli schieramenti: si tratta di un appuntamento importante, speciale, per certi versi unico, a cui non è possibile sottrarsi. Non lo è per una questione – per così dire – di tecnica elettorale (ma mai come in questo caso la tecnica è legata alla sostanza) in quanto la consultazione sarà valida a prescindere dall’affluenza alle urne, non essendo previsto un quorum. Non lo è, soprattutto, per la materia del referendum, che non è un singolo aspetto, per quanto cruciale, del vivere collettivo, ma
è una legge che riforma in modo profondo la seconda parte della Costituzione, quella che definisce la struttura della Repubblica, la “casa comune” di tutti gli italiani.
Per questo siamo tutti interpellati come cittadini di questo Paese, al di là delle appartenenze di partito o delle dinamiche di schieramento. Il che non vuol dire che i soggetti organizzati che agiscono a livello pubblico non abbiano il diritto di argomentare e promuovere le rispettive opzioni di voto. Ci sarebbe semmai da chiedere che ciò avvenga senza demonizzare chi la pensa in modo diverso. Quanto è avvenuto finora e la realistica considerazione che i toni, con l’approssimarsi dalla consultazione del 4 dicembre, rischiano semmai di incattivirsi ulteriormente, non rende meno giustificata tale richiesta, anzi, l’avvalora di più.
Ma è ciascun cittadino, come tale, che deve sentirsi interpellato personalmente a partecipare e a farlo in modo pienamente consapevole, informandosi nel modo più completo possibile.
E’ un’operazione che impegna l’intelligenza e la coscienza, come ha ricordato nei giorni scorsi il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Questo discernimento è un esigente esercizio di libertà e come ogni atto veramente libero implica anche un esercizio di responsabilità. Perché se la scelta è e deve essere personale, le sue ripercussioni coinvolgono l’insieme dei cittadini. Tanto più in questa circostanza in cui il voto concerne in modo diretto ed esplicito l’assetto delle istituzioni in cui si articola la vita civile e politica del Paese e non altro. Assetto che si presuppone debba avere una certa durata nel tempo e dunque dev’essere valutato anche in questa prospettiva non di corto respiro.
Questo discernimento libero, responsabile e lungimirante non è un’impresa facile.
La materia costituzionale è ostica in sé e il dibattito pubblico intorno ai temi del referendum è stato ed è costantemente condizionato da un suo utilizzo strumentale – da un parte e dall’altra – per fini di lotta politica estranei all’oggetto della consultazione. Per questo è fondamentale il ruolo degli operatori della comunicazione. I media hanno il diritto-dovere di raccontare quel che accade sulla scena politica, con tutte le sue contraddizioni. Talvolta decidono di prendere posizione e questo fa parte della dialettica democratica. Ma in questa occasione quel che sembrerebbe più necessario è aiutare ciascun cittadino a formarsi un giudizio personale, fornendo con onestà intellettuale elementi conoscitivi sui temi in gioco e sulle implicazioni delle scelte da compiere. E’ questo il compito che anche noi cercheremo di assolvere.
Stefano De Martis