Verso il Sinodo / Il Papa ai giovani: “Non abbiamo paura”, la vita è “una corsa buona”

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Correre forte, in avanti, senza paura. Più veloci degli adulti, superando il loro passo timoroso. Correre perché il cuore batte all’impazzata, non perché non si ha mai tempo per le troppe cose da fare. Correre verso le periferie, per costruire un’umanità fraterna, perché il mondo ha bisogno di fratellanza. Dal tramonto romano all’alba di “quella mattina inimmaginabile che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità”: è l’itinerario, esigente, proposto da Papa Francesco ai 50mila giovani che da 195 diocesi italiane hanno camminato insieme in pellegrinaggio per convergere sulla Capitale da mille strade, come recita il motto dell’iniziativa organizzata dal Servizio nazionale della Cei per la pastorale giovanile. La figura scelta, nel saluto finale al Circo Massimo, come faro per le scelte dei giovani – aspettando il Sinodo che ad ottobre sarà a loro dedicato – è quella di Giovanni: il discepolo che arriva primo al sepolcro vuoto di Gesù “certamente perché è più giovane, ma anche perché non ha smesso di sperare”. Insieme a lui, dialogando a braccio in risposta alle domande dei giovani, il Papa ha citato come esempio il Santo di cui ha scelto di portare il nome: Francesco d’Assisi, un giovane che, sognando in grande, ha cambiato la storia dell’Italia. Il clericalismo “è una perversione”, e la Chiesa “senza testimonianza è soltanto fumo”, l’altro monito nel “botta e risposta” con i giovani. “Non abbiamo paura!”: l’invito prima del congedo riecheggia le parole di Giovanni Paolo II ma con un “noi” ancora più inclusivo. “A tutti voi auguro la buonanotte, e domani arrivederci in piazza San  Pietro”, ha detto ancora a braccio il Papa prima di lasciare il Circo Massimo, dando lui stesso ai giovani l’appuntamento per domani mattina in piazza San Pietro, preceduto dalla Messa con il card. Bassetti. Prima, però, c’è la Notte bianca da vivere in una ventina di chiese, con momenti di arte, cultura e spiritualità.
“Grazie per questo incontro di preghiera, in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi”.
Comincia con queste parole il saluto del Papa, dopo il bagno di folla delle decine di migliaia di giovani che hanno passato due ore intense dialogando con lui. “Avete attraversato i luoghi dove la gente vive e lavora”, il riferimento ai pellegrinaggi delle 195 diocesi che si sono date appuntamento a Roma per la “due giorni” col successore di Pietro: “Spero che abbiate respirato a fondo le gioie e le difficoltà, la vita e la fede del popolo italiano”. Poi il brano del Vangelo di Giovanni che racconta la corsa di Maria Maddalena, Pietro e Giovanni al sepolcro vuoto di Gesù, in “quella mattina inimmaginabile che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità”. Tutti corrono, tutti sentono l’urgenza di muoversi. “Abbiamo tanti motivi per correre: spesso solo perché ci sono tante cose da fare e il tempo non basta mai”, dice il Papa: “A volte ci affrettiamo perché ci attira qualcosa di nuovo, di bello, di interessante. A volte, al contrario, si corre per scappare da una minaccia, da un pericolo… I discepoli di Gesù corrono perché hanno ricevuto la notizia che il corpo di Gesù è sparito dalla tomba”. Da quella mattina, la storia non è più la stessa: “Da quell’alba del primo giorno dopo il sabato, ogni luogo in cui la vita è oppressa, ogni spazio in cui dominano violenza, guerra, miseria, là dove l’uomo è umiliato e calpestato, in quel luogo può ancora riaccendersi una speranza di vita”.
“Non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila”,
l’imperativo per il popolo giovane, a cui il Papa chiede “il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna”, perché abbiamo bisogno di fratellanza. “Sarò felice di vedervi correre più forte di chi nella Chiesa è un po’ lento e timoroso”, confessa Francesco: “La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci, come Giovanni aspettò Pietro davanti al sepolcro vuoto”. Camminare insieme è accogliere l’altro “senza pregiudizi e chiusure”: “Camminare soli permette di essere svincolati da tutto, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio”. Come recita un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”.

“Gesù Cristo non è un eroe immune dalla morte, ma colui che la trasforma con il dono della sua vita”. Nel Vangelo di Giovanni, “c’è l’umanità ferita che viene risanata dall’incontro con il Maestro; c’è l’uomo caduto che trova una mano tesa alla quale aggrapparsi; c’è lo smarrimento degli sconfitti che scoprono una speranza di riscatto”. “Non è la rappresentazione della sublime perfezione divina, quella che traspare dai segni di Gesù, ma il racconto della fragilità umana che incontra la grazia che risolleva”, il commento di Francesco.
“Non abbiamo paura!”,
l’esortazione finale. “Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte”, il monito: “Quanti sepolcri oggi attendono la nostra visita!”. “Il signore mi ama! Sono amato, sono amata!”, la frase che il Papa ha esortato i giovani a ripetersi tornando a casa: “Allora la vita diventa una corsa buona, senza ansia, senza paura. Una corsa verso Gesù e verso i fratelli, col cuore pieno di amore, di fede e di gioia”.

M. Michela Nicolais

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