Mentre avanziamo nel cammino quaresimale, che ci conduce pian piano alla contemplazione del Risorto, mi accorgo come la Chiesa ci conduca per mano di domenica in domenica alla conoscenza e alla comprensione di quel volto e di quel cuore impastato di umanità, come ogni uomo nato da donna, inserendoci nel mistero della luce, per comprendere qual è la nostra dignità di figli e quale eredità ci viene consegnata.
Già il mercoledì delle ceneri, la liturgia ci porgeva un monito interessante:
“Convertitevi! Credete al Vangelo!”.
Nella prima domenica di quaresima il Vangelo ci ha mostrato Gesù sottoporsi alle tentazioni del potere, della ricchezza e della gloria, a cui, con dignità, liberamente, risponde a satana: “Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio!”.
La dignità viene riconosciuta quando l’uomo liberamente aderisce a quella legge interiore, iscritta nel suo cuore, fin dal primo suo vagito, venendo al mondo.
La sua dignità si manifesta e si esprime nella libertà del suo volere e del suo agire.
La seconda domenica Gesù invita alcuni dei suoi amici intimi a condividere la sua familiarità con il Padre, permettendo loro di contemplare la luce che emana tutta la sua persona, mentre dialoga con il Padre e i profeti. La familiarità con il Figlio permette loro di ascoltare la voce, che riconosce l’amato e conferma l’invito a ritenerlo degno di essere ascoltato, conosciuto, imitato!
“Questi è il figlio mio, l’amato! Ascoltatelo!”
Gesù vuole che anche noi entriamo in dialogo con il Padre e, a poco a poco, ce lo mostra, ci fa conoscere i suoi sentimenti, il suo stile, il suo modo di agire. Nella terza e quarta domenica ci fa incontrare un Padre che non ostacola i sogni, largamente dona e non trattiene, vuole i suoi figli liberi e non schiavi. Lui non è un padre/padrone, ma un padre che vuole la piena felicità dei figli, perciò non li condiziona, non li minaccia, non impone ma aspetta che la loro intelligenza, la loro umanità, la loro aspirazione più profonda si esprima per farli giungere liberamente alla scelta desiderata.
Abbiamo un Padre che non ha fretta, che accondiscende perfino ai capricci, che considera i desideri sogni legittimi, perché il figlio cresca e faccia esperienza, impari a discernere il bene dal male, sperimenti, a sue spese, la capacità di resistere, di dare nuovi contenuti e nuovi stimoli alla sua vita; come consente ancora una proroga alla pianta di fico, in mezzo alla vigna, che non produce frutti da diversi anni. Meriterebbe di essere tagliata e bruciata, invece che sfruttare inutilmente il terreno, tuttavia concede al contadino di poterla ancora curare e concimare. “Chi rimane in me porta frutto!”
Come il Padre lascia libero il figlio minore e il figlio maggiore, anche Gesù lascia libero Giuda, “Quello che devi fare, fallo subito!”, pur sapendo quel che Giuda farà.
La libertà di agire, di comprendere, di accettare le regole, di coltivare sogni, di sbagliare, perfino, è nella mani di ognuno di noi, figli amati e liberi anche di non accogliere e non ricambiare questo amore. Il Padre insiste:“Figlio, tutto ciò che è mio è tuo!”.
In questa quinta domenica il volto del Padre ci coglie di sorpresa. Ci mette davanti a noi stessi il peso delle nostre scelte, lascia che andiamo in fondo ai nostri desideri e valutiamo se vale la pena continuare o cambiare direzione. “Chi non ha peccato, scagli per primo la pietra!”. “ Chi non peccato!”, non dice “Chi non ha commesso adulterio!”, perché il peccato è individuale, soggettivo, frutto di passione perversa, di egoismo irresistibile, di incapacità di confronto e di discernimento. Il peccato acceca e vede solo il proprio desiderio, non tiene conto del bisogno dell’altro; il peccato nega all’altro il diritto di esistere, perché è frutto dell’aridità del cuore e della cecità della passione. Perciò, quell’invito a scagliare la pietra, se sei senza peccato, inchioda, mette ciascuno davanti al proprio io e gli mostra tutta la propria ingordigia e avidità di prevalere sul suo egoismo. Siamo costretti a chiederci: “Chi non ha peccato?”.
La folla si dirada e la piazza si sgombera. Sola, davanti al giudice, la “misera”, come ben S. Agostino la chiama, non osa alzare lo sguardo, ora tocca a Colui che non ha peccato, la sentenza finale e la “misera” si trova di fronte “la misericordia”.
Quel Padre, dal cuore di carne con viscere di madre, non abbandona la sua creatura, tanto più se, spudoratamente maltrattata e abbandonata a se stessa, si riconosce nella propria situazione di miseria, di fame, sanguinante e piena di ferite, aggredita dai briganti, infangata e derisa dai giudizi dei benpensanti. Il Padre permette a ciascuno di entrare nelle pieghe del proprio cuore e guardare con verità se stessi, riconoscere dove sta l’errore e dove sta la pena, per poter dire a se stessi tutta la verità, la sola possibile.
La verità ci libera, rende giustizia e sana ogni ferita umana.
”Donna, io non ti condanno. Va’ e non peccare più!”
La verità porta la pace e la gioia. Non hai nulla da nascondere, o uomo, ci continua a dire il Signore, nulla di cui vergognarti, nulla da temere se riconosci che solo l’amore salva, solo l’amore regna, solo l’amore mai si esaurisce.
Il nostro Dio è amorevole, amabile, amante all’infinito e desidera che anche noi come lui diventiamo amorevoli, amabili e amanti in tutti i nostri gesti e per tutti i nostri giorni, senza stancarci per poter godere con lui la gioia senza fine.
Buon cammino interiore verso la Pasqua di Resurrezione
Teresa Scaravilli