Almeno sulla carta, ci sono norme mirate che dovrebbero consentire a questi cittadini di non essere tagliati fuori da un momento cruciale della vita democratica. La loro applicazione varia molto da Comune a Comune e come sempre ci sono situazioni virtuose e altre decisamente insoddisfacenti.
Mentre ci si interroga sul rischio di un aumento dell’astensionismo, c’è chi tenacemente si batte per poter esercitare il diritto-dovere di votare e spesso non è messo nelle condizioni concrete di farlo. Stiamo parlando dei disabili, persone di cui la campagna elettorale sembra essersi dimenticata a livello di programmi e che il 4 marzo, inoltre, si troveranno ancora una volta alle prese con il problema di come effettuare materialmente le operazioni di voto.
Almeno sulla carta, ci sono norme mirate che dovrebbero consentire a questi cittadini di non essere tagliati fuori da un momento cruciale della vita democratica. La loro applicazione varia molto da Comune a Comune e come sempre ci sono situazioni virtuose e altre decisamente insoddisfacenti. Può essere comunque utile ricordare queste norme, attingendo per amor di precisione al sito del ministero dell’Interno.
I termini per chiedere di votare dalla propria abitazione, nel caso di infermità molto gravi, sono già scaduti. La domanda, infatti, andava presentata entro il ventesimo giorno antecedente le elezioni, quindi entro il 12 febbraio. Un anticipo così ampio, per quanto motivato da esigenze organizzative, risulta obiettivamente penalizzante, osservano le associazioni dei disabili.
Per gli elettori non deambulanti, qualora il seggio assegnato si trovi in un edificio con barriere architettoniche, è prevista la possibilità di votare in uno qualsiasi dei seggi allestiti nello stesso Comune in un edificio che risulti accessibile. E’ necessaria una certificazione medica della Asl o una copia autentica della patente di guida speciale. E qui le associazioni giustamente denunciano l’assurdità dei seggi con le barriere.
Estremamente delicata è la situazione delle persone non vedenti o che non sono in grado, per impedimento fisico, di esprimere autonomamente il voto sulla scheda. In questi casi l’elettore può essere accompagnato da una persona di fiducia all’interno della cabina ed è l’unico caso in cui è consentito che ciò avvenga. Il presidente del seggio deve interpellare appositamente l’elettore per accertarsi che abbia scelto liberamente il suo accompagnatore e ne conosca il nome e cognome. L’accompagnatore può assistere soltanto un elettore. Le persone disabili dovrebbero avere già segnata sulla tessera elettorale, avendo in precedenza presentato la relativa certificazione al Comune, l’annotazione del diritto al voto assistito. In assenza di questa annotazione, si può essere ammessi al voto assistito perché l’impedimento è evidente o presentando un certificato medico redatto da un funzionario medico designato dalla Asl. Resta il problema di fondo:
questi elettori, in particolare i non vedenti, sono costretti a fidarsi di un’altra persona, mentre la pluridecennale e inesaudita richiesta delle schede in braille ormai risulta persino obsoleta rispetto alle possibilità che potrebbero essere offerte dalle nuove teconologie.
Ma al di là di queste norme e degli aspetti tecnici, il discorso è molto più ampio e radicale, dice al Sir Vincenzo Falabella, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish). Il punto è che “ancora oggi le persone con disabilità non vengono trattate come tutti gli altri cittadini”. Falabella afferma che “siamo ancora lontani dalla piena applicazione dell’articolo 29 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che prevede la loro piena partecipazione alla vita politica non solo come elettori, ma anche come candidati in condizioni di pari opportunità con gli altri. Non è quindi solo un problema burocratico di esercizio del voto assistito o a domicilio, ma un problema culturale, che inizia già dall’accessibilità delle informazioni politiche, per finire con il limitato numero di persone con disabilità messe nella condizione di partecipare agli eventi in campagna elettorale perché inaccessibili”.
Per il presidente della Fish, insomma, esiste una vera e propria discriminazione a cui la politica – in ogni sua forma e colore, precisa – non hai mai pensato di porre rimedio in termini all’altezza della sfida. E il motivo è che “ci portiamo dietro un retaggio culturale per il quale le persone con disabilità sono considerate malate”. “Una visione che dobbiamo superare” – sottolinea Falabella – e su cui ha pesato anche “il fatto di aver ratificato nel 2009 quella Convenzione Onu senza poi aver prodotto norme e prassi per applicarla concretamente. Questa campagna elettorale sarebbe l’occasione per dare un segnale”.
Stefano De Martis