Verso il voto: temi sensibili in serie B. Paola Ricci Sindoni: “No alla divisione tra politica ed etica”

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paola ricci sindoni“In questa campagna elettorale o si discute di tasse e di questioni economiche, o si discute dei diritti dei gay. I temi eticamente sensibili, in altre parole, vengono omologati alla questione dei valori o dell’etica nella politica, cosa assolutamente impropria”. E’ il parere di Paola Ricci Sindoni, docente ordinario di Filosofia morale all’Università di Messina e vicepresidente vicario di “Scienza & Vita”.
“Contribuire con il proprio impegno alla rinascita del Paese”, per dare “fiducia al lavoro della politica in un momento difficile ma superabile”. E’ l’appello rivolto “a ciascun” cittadino italiano dall’associazione “Scienza & Vita”, che alla vigilia della tornata del elettorale del 24 e 25 febbraio ha espresso la sua preoccupazione “per la strisciante rassegnazione e volontà di protesta dell’opinione pubblica con la dichiarata propensione di astenersi dal voto” e ha indirizzato a tutti candidati alle elezioni una lettera aperta, dal titolo “Fedeltà al paese, vincolo sui principi irrinunciabili”. Ne abbiamo parlato con Paola Ricci Sindoni, docente ordinario di Filosofia morale all’Università di Messina e vicepresidente vicario di “Scienza & Vita”.
A pochi giorni dal voto, nella campagna elettorale i “grandi assenti” sembrano i temi etici: è così?
“In questa campagna elettorale o si discute di tasse e di questioni economiche, o si discute dei diritti dei gay. I temi eticamente sensibili, in altre parole, vengono omologati alla questione dei valori o dell’etica nella politica, cosa assolutamente impropria. A fronte dell’insistenza dell’azione dei cattolici che sottolineano l’importanza da attribuirsi ai cosiddetti principi non rinunciabili, o valori non negoziabili, il dibattito, sia nell’opinione pubblica,  sia nei media, è diviso nettamente su due fronti: da un lato c’è la politica, e quindi le negoziazione e la mediazione, dall’altro l’etica, quella ‘rivendicata’ dai cattolici, e quindi etichettata a priori come rigida, chiusa, dogmatica. Non sembra esserci neanche la possibilità di orientare l’elettore a poter fare una scelta coerente con i propri principi, come abbiamo cercato di fare noi con la nostra lettera aperta”.
La lettera aperta di “Scienza & Vita” è una scelta forte contro l’astensione e una richiesta di impegno per quei “diritti inviolabili” che sono i diritti costituzionali. Perché si fa fatica a riconoscere, o addirittura si rimuove, questo legame?
“Perché invece di fare una seria riflessione sulla Costituzione, si tende a fare rivendicazioni o battaglie ideologiche, come quella sul matrimonio e l’adozione per le coppie omosessuali. Si cambia prospettiva, non si sta dentro alle questioni reali del Paese. Ad esempio, oggi si parla tanto di famiglia, ma non si parla della famiglia concreta, dove l’unica maggioranza che rimane minoranza – cioè la donna – non è neanche contemplata nel dibattito pubblico, se non all’interno delle quote rosa o per la rincorsa all’atleta o alla cantante di turno come candidato. Il vero problema è che la famiglia deve dare spazio, serenità alla donna, che ha il compito primario – anche se non esclusivo – di gestire l’educazione dei figli. Non è un caso, a mio avviso, che a fare le rivendicazioni dei diritti dei gay siano quasi sempre gli uomini: anche questo è un segnale del maschilismo imperante”.
Il dibattito sul riconoscimento dei diritti alle coppie di fatto, comprese quelle omosessuali, è sempre più pressante, dopo il “varo” oltralpe: c’è addirittura chi lo considera un traguardo inevitabile, già virtualmente raggiunto, per il nuovo governo. E’ così?
“Mi auguro proprio di no. Siccome il modello culturale preparato dalle lobby dell’Unione europea è quello del riconoscimento delle ‘famiglie’ omosessuali, allora tutte le forze politiche sentono il dovere di esprimersi, con pochi distinguo, in questo senso. Su un tema così importante, invece, ci deve essere dibattito nel Paese. Io mi limito a far notare una contraddizione: i gay, generalmente, esprimono con orgoglio la propria differenza, ma poi cercano l’omogeneità con altre forme normali di famiglia, rivendicando la possibilità di avere figli. Come si vede, è un paradosso”.
Rivendicando la differenza, insomma, si finisce per annullare ogni differenza?
“Certamente. Ripeto: la vera maggioranza, che è diventata minoranza, oggi sono le donne. In tutto questo, i cattolici vengono etichettati, in base al solito pregiudizio laicista,  come portatori di un blocco monolitico di valori considerati dogmatici, e tacciati in questo modo di spingere al massimo l’impossibilità del dialogo. Occorre  far capire, invece, che quella dei diritti delle persone omosessuali non è una questione etica, ma antropologica: si mina alla base un elemento costitutivo, che fa parte del senso comune, e cioè la differenza tra uomo e donna come base della famiglia, la quale ha il compito di far progredire le generazioni successive, cosa che non è nell’ordine di persone dello stesso sesso”.
Nella scorsa legislatura, la legge sul “fine vita” non è stata approvata e si insiste invece, a più riprese, sulla necessità di una modifica della legge 40 per “adattarla” alle sentenze italiane e europee…
“Non ci dobbiamo fare abbagliare da sentenze italiane o europee, che a volte sembrano piuttosto il risultato di un certo fanatismo giuridico. La legge 40 – lo dice anche la pratica clinica – funziona, ha funzionato bene e va sostenuta: non dimentichiamoci che è stata approvata grazie ad una maggioranza trasversale. La si può rivedere, assestare dove può aver provocato delle fratture, ma è indubbio che si tratta di un presidio sulle fasi iniziali della vita a cui non si può rinunciare, così come bisogna continuare ad argomentare le nostre ragioni per contrastare i pregiudizi laicisti e riuscire a far capire bene come la difesa della vita che fanno i cattolici – dall’inizio al suo termine naturale – non è una questione confessionale o un dogma di fede calato dall’alto, bensì una precisa visione antropologica che vogliamo condividere con tutti coloro che hanno a cuore la dignità della persona e la sua inviolabilità”.
Di cosa ha bisogno, allora, la politica?
“Di una visione d’insieme. Nessuno dice cosa si aspetta dal futuro, come vede il futuro dell’Italia da qui a qualche anno. La politica deve assumersi compiti etici, perché la sua visione d’insieme non può che provenire da un’éthos collettivo, che può derivare da vari serbatoi di senso: le fedi religiose, ma anche la tradizione etica del liberalismo. Altrimenti, la politica diventa a-morale, come dimostrano gli episodi di corruzione, di malcostume e gli scandali che in questo periodo sembrano quasi una regola, non l’eccezione. In questa campagna elettorale, invece, ci si combatte al suono di accuse reciproche per indebolire l’anniversario, in maniera anche scorretta, creando così una situazione a dir poco deprimente, che genera stanchezza, disillusione. Per questo è importante andare a votare domenica”.
Qual è la prima misura a favore della politica che “Scienza & Vita” si attende dal nuovo governo?
“La definizione, il varo di una legge sul fine vita, il cui dispositivo legislativo è stato volutamente sospeso e accantonato. L’assetto generale invece va bene, ed è su di esso che va operata una giusta e necessaria mediazione politica”.

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