La parola chiave del viaggio di Papa Francesco nei Paesi Baltici, 25 anni dopo Giovanni Paolo II e 100 anni dopo la conquista dell’indipendenza, è libertà. Nell’angolo di Europa che ha più sofferto prima per la persecuzione nazista e poi per la dominazione sovietica, il Papa ha voluto lanciare un messaggio preciso anche al nostro Continente e ai suoi mali del benessere, che non vuol dire automaticamente “vivere bene”, come ha spiegato nella tappa finale in Estonia. Libertà è “ospitare le differenze”, ha detto Francesco fin dal suo primo discorso sul suolo lituano. Guardando poi la “collina delle croci”, durante l’Angelus a Kaunas, davanti a 100mila persone, ha esortato a vigilare su “qualsiasi nuovo germe pernicioso” che possa aggirarsi per l’Europa sotto forma di “canti di sirene”. Nella messa finale a Tallin, il Papa si è rivolto non solo all’esigua minoranza cattolica estone – “un piccolo gregge”, l’ha definita lodandone la capacità di accoglienza – ma a tutte le tre repubbliche baltiche: “Voi non avete conquistato la vostra libertà per finire schiavi del consumo, dell’individualismo o della sete di potere o di dominio”. È la libertà – da coniugare con la memoria intesa come carburante per il futuro – il denominatore comune del viaggio in tre Paesi “che si assomigliano ma sono diversi”, come aveva spiegato Francesco ai giornalisti sull’aereo diretto a Vilnius. Abbiamo scelto tre “fotografie”, una per ogni nazione, per ripercorrere le tappe del 25° viaggio di Papa Francesco in Lituania, Lettonia ed Estonia.
Omaggio alla memoria. Da solo, in piedi, a capo chino. Come sempre in questi momenti, come aveva fatto anche ad Auschwitz, lontano dai riflettori. Il 23 settembre, l’ultima tappa del suo viaggio in Lituania il Papa ha voluto dedicarla all’omaggio delle vittime del ghetto di Vilnius, esattamente 75 anni dopo i rastrellamenti e la distruzione, e alla visita del Museo delle occupazioni e lotte per la libertà, luogo-simbolo del passato tragico del Paese, dove oggi i cattolici sono circa l’80% della popolazione. Al suo arrivo al Museo del ghetto, il Papa è stato accolto dal direttore presso l’ingresso laterale nel cortile dell’edificio, poi ha visitato il Museo accompagnato dall’arcivescovo di Vilnius, mons. Gintaras Grusas. Insieme sono scesi al piano inferiore dell’edificio per visitare le celle n. 9 e 11, dove Francesco ha acceso una candela in memoria delle vittime e ha sostato in preghiera silenziosa per alcuni minuti, presente anche un vescovo appartenente alla Compagnia di Gesù scampato alle persecuzioni. Tornato al piano terra, ha visitato la sala delle esecuzioni e, nel cortile esterno, ha firmato il libro degli ospiti. Arrivato al Monumento delle vittime delle occupazioni e lotte per la libertà, è stato accolto da un vescovo cattolico superstite della persecuzione e da un discendente dei deportati. Prima di un momento di raccoglimento, il Papa ha recitato una preghiera appositamente da lui composta per l’occasione: “Che nel tuo grido e nella vita dei nostri padri che tanto hanno sofferto possiamo trovare il coraggio di impegnarci con determinazione nel presente e nel futuro; che quel grido sia stimolo per non adeguarci alle mode del momento, agli slogan semplificatori, e ad ogni tentativo di ridurre e togliere a qualsiasi persona la dignità di cui Tu l’hai rivestita”.
Artigiani dei legami. Nell’incontro ecumenico nella cattedrale luterana di Riga, il 24 settembre, il Papa parte dai temi cari all’ecumenismo – il dialogo e la ricerca dell’unità – per allargare lo sguardo all’intera società, dove i cattolici sono circa il 20% della popolazione. La fede deve risuonare come il suono di un organo, simile a quello che vibra nel Rigas Doms ed è il più antico d’Europa.
“Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna di qualunque provenienza, rinchiudendoci nel ‘mio’, dimenticandoci del ‘nostro’: la casa comune che ci riguarda tutti”. L’antidoto alla solitudine e all’isolamento, i mali peggiori del nostro tempo, sta nella capacità di essere “artigiani dei legami”, dirà incontrando le autorità, il giorno dopo, in Estonia.
Verso il Sinodo. Sono circa 1.500 i giovani che applaudono Francesco, quando entra e quando esce dalla Kaarli Lutheran Church di Tallinn. La pace è “artigianale”, afferma il Papa con uno dei temi a lui più cari. Ma poi comincia subito uno schietto e articolato “mea culpa”. “Per noi è più facile parlare che ascoltare”, la prima denuncia rivolta agli adulti: “Tante volte le comunità cristiane si chiudono senza accorgersene e non ascoltano le vostre inquietudini”, aggiunge a braccio.
“Oggi qui voglio dirvi che vogliamo piangere con voi se state piangendo, accompagnare con i nostri applausi e le nostre risate le vostre gioie, aiutarvi a vivere la sequela del Signore”, l’empatia di Francesco.
E ancora: “Quando una comunità cristiana è vera cristiana, non fa proselitismo: soltanto ascolta, riceve, accompagna e fa cammino, ma non impone”. “Abbiamo davvero bisogno di convertirci, di scoprire che per essere al vostro fianco dobbiamo rovesciare tante situazioni che sono, in definitiva, quelle che vi allontanano”; l’altro “mea culpa” del Papa. I giovani si indignano per gli “scandali economici e sessuali”, dice il Papa al suo uditorio: “Vogliamo rispondere, vogliamo essere una comunità trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva”. Il Sinodo sui giovani si apre il 3 ottobre, ma nei Paesi Baltici è già cominciato.
M.Michela Nicolais