È tempo di vendemmia. Di calcoli, previsioni, speranze. Se nelle piazze di paese la si celebra a ritmo di tarantelle e danze, in vigna la musica è decisamente diversa. La produzione italiana, ha sottolineato la Coldiretti, scenderà intorno ai 43 milioni di ettolitri contro i 50 milioni registrati la scorsa stagione, facendo entrare il 2023 fra i peggiori anni della storia della produzione vinicola, con crolli anche del 50% al sud. Peronospora, oidio, il forte caldo e improvvise grandinate non hanno risparmiato l’Etna, con la situazione più drammatica sul versante nord dove si prevedono perdite anche dell’80%.
In questa nuova puntata della rubrica “Vino e divinità” vi raccontiamo il rapporto tra il vino e Giove, “dio sovrano” a cui era riconosciuto il potere di proteggere la vite dai danni che il cattivo tempo provocava.
La vendemmia ai tempi degli degli antichi romani
Tripudio di euforia sferzante, i Vinalia nell’antica Roma servivano per legare l’umano desiderio al divino potere. È così che al dio delle piogge, dei fulmini e delle intemperie s’invocava protezione per la raccolta delle uve. Le primizie del vino spettavano agli dei. Enea aveva fatto voto di dedicare il vino a Giove a seguito della sua battaglia contro Turno per la conquista di Cerveteri.
Ovidio ne dà conto in una postilla de i Fasti: “A Giove viene reso meritatamente il vino che gli era stato promesso. Di qui quel giorno è detto Vinalia: Giove lo rivendica, e si compiace di annoverarlo tra le sue feste”. Nei “priora” di primavera, si consacrava il vino dell’anno scorso spillato dalle botti e successivamente distribuito ai comuni mortali dai contadini che lo portavano dalle campagne alle città. Nei “rustica” di agosto, invece, i Vinalia servivano per dare il via alla vendemmia, che poteva svolgersi solo se si espletavano precisi riti propiziatori.
Come si stabiliva l’inizio della vendemmia? Il sacerdote addetto al culto di Giove (flamen Dialis) doveva prima verificare se tutti gli dei erano favorevoli alla raccolta delle uve. Successivamente, se agli auspici faceva seguito un parere unanime, veniva sacrificato un agnello a Giove. Arrivava così al termine di questo rituale l’ordine di iniziare a vendemmiare. Con un intermezzo alquanto macabro: durante l’estrazione delle viscere della vittima sacrificale il sacerdote assaggiava per primo l’uva raccolta in offerta alla divinità.
La vendemmia oggi vittima del “climate change”
Immaginate i vignaioli di oggi vestire i panni dei sacerdoti gioviani. Essi seguono i riti naturali che si svolgono direttamente in pianta: germogliamento, allegagione, invaiatura, completa maturazione. I loro auspici sono costantemente messi in discussione da raffiche di vento africano, rovesci di grandine, incendi, attacchi fungini. Essi stessi sono vittime sacrificali del “climate change”. Arriva comunque il giorno della vendemmia, quest’anno come non mai un momento atteso con sentimenti contrastanti ma comunque con uno sguardo positivo.
Così come festeggiavano l’inizio anche per la conclusione della vendemmia i romani si rallegravano in un rito apposito. Dal verbo medeor che vuol dire guarire, il Meditrinalia era la festa in cui si offriva a Giove, con danze e brindisi, il mosto appena estratto e se ne propiziava la buona qualità.
Ma se l’uomo non rispetta le leggi della natura, ci direbbe Gianfranco Soldera, non può fare qualità. Ora penso a quel vignaiolo che passeggia in mezzo ai suoi vigneti. Il suo volto fiero, orgoglioso, che non lascia trasparire la sua delusione per un’annata difficilissima. Egli sa bene che c’è un tempo per tutto.
Sa che il frutto ha bisogno della sua ora: quando la vite suggerisce di mettere mano alle forbici perché quella bellezza vuole osare, è aperta al cambiamento e pronta alla novità. Ogni grappolo raccolto ha senso solo in questa ottica di speranza, perché nulla andrà perduto del tutto e quel mosto diventerà vino.
Domenico Strano