La violenza sulle donne è una realtà documentata e indiscutibile, tanto da istituire una giornata mondiale. La storia dell’umanità, in tutti i paralleli del globo, denuncia la stessa difficile (assurda) situazione: non si può fare a meno delle donne, ma, nel contempo, bisogna sottometterle. Quando va bene, perché, ben si sa, accade ben di peggio.
Se si è seguita qualche donna che abbia subito violenza, da quella sessuale a quella discriminatoria sul posto di lavoro, o semplicemente psicologica, si è toccata con mano la devastazione, l’angoscia e il dolore.
Passi culturali, conoscenze psicanalitiche e psicologiche non sembrano, malgrado l’importanza essenziale, aver portato chiarezza, soprattutto nel prevenire, quindi nell’educare.
Purtroppo, dati e constatazioni sono evidenti. Quanto manca è altro: entrare nell’animo del violento, di chi vuole sopraffare. Scavarne le ragioni, trovarne le radici e volerle estirpare.Non basta appellarsi alla condizione della donna nei secoli o, in tempi piuttosto recenti, alle tre K affibbiate, volenti o nolenti, alla donna: Kinder, Küche, Kirche, bambini, cucina e chiesa.
Tre aspetti di un’esistenza che oggi non possono che essere condivisi da qualsiasi coppia che abbia appreso il reciproco rispetto.L’arte di relegare la donna alle “tre k” le ha chiuso la porta della cultura e delle relazioni, per secoli. Quando, finalmente qualche audace si è liberata dagli stereotipi e ha messo a frutto i doni di natura, di studio e di esperienza, ha dimostrato come le donne possono anche altro.
La violenza però se trova concretezza di espressione proviene da un animo e da un’intelligenza bacata, a dir poco, che andrebbe curata.
Senza voler mettere a processo le educazioni passate, non sarebbe preferibile fondare oggi l’educazione sul rispetto? Sull’accettazione dell’umanità della persona che si ha dinnanzi?
Quando si scatenano forze incontrollabili, la diagnosi non può che essere ben certa: un tarlo rode intelligenza e cuore.
La donna deve acquisire più sicurezza e autorevolezza in se stessa, ma anche il maschio deve apprenderlo, non prevaricare ma procedere insieme in armonia.
In Genesi la donna è l’aiuto posto dinanzi all’Adam.
Né la donna né il maschio possono da soli raggiungere un’armonia di vita.Se sono caduti alcuni tabù di relazione e di convivenza, c’è da chiedersi da quali altri siano stato sostituiti, visto l’indice sempre crescente della violenza.
Non conta la spigliatezza, la capacità femminile di agire nel sociale, nel coprire posti dirigenziali e politici di rilievo se, di pari passo, lo sguardo che, uomo e donna si trasmettono, svela solo possesso invece di grata amicizia e piena comprensione.
Sostanzialmente è malata la persona, da passarsi allo scanner interiore per ritrovare nelle proprie pieghe quel nucleo di disturbo da purificare.
Chi sa e vuole ascoltare la voce del Vangelo e guardare al Signore Gesù, troverà esempi di grande amicizia e rispetto: nel suo tratto di cammino terreno ha rispettato la donna, basti guardare a Marta e Maria, pur vivendo in un ambiente sociale semita tipico del suo tempo.
Non ha esercitato la sottomissione, ma ha messo in primo piano un’uguaglianza di persone chiamate amici.
Usare della forza muscolare per abusare di una donna, non dimostra la forza maschile ma la sua debolezza, intrinseca e profonda, quel lato oscuro che andrebbe purificato e illuminato e non alimentato da istinti predatori non educati.
La strada per uscire e combattere la violenza non è un’altra forma di violenza, come non lo è neppure cedere e annullarsi nell’omertà.
Si configura non solo nella denuncia chiara e sonora ma trova il suo autentico vigore plasmatore in un’educazione nuova, impregnata di rispetto, di se stessi, in primo luogo. Di persone create che vogliono lodare il Creatore e contribuire, a loro volta, a creare un mondo nuovo, degno di essere abitato.
Essere con-creatori con il Creatore in una società in cui si respiri uguaglianza, rispetto e reciproca stima. Solo allora la violenza potrà essere cancellata come un pessimo ricordo.
Cristiana Dobner