Ci siamo: ecco finalmente le elezioni politiche. Se ne è cominciato a parlare dopo l’esito negativo del referendum costituzionale. Poi il governo Gentiloni ha espresso un equilibrio, che, grazie anche ad una certa complessiva ripresa, ha riscosso un consenso trasversale. Ma ci siamo.
Con una prima incognita: quanti di noi andranno a votare. Non sembra, ma il risultato finale dipenderà molto da questo dato. Per questo i partiti hanno prima di tutto puntato a fidelizzare i propri elettori, a picchettare il loro patrimonio. Gli ultimi giorni saranno decisivi per la partecipazione, anche perché solo ora stiamo realizzando la struttura – spesso bizzarra – dei collegi uninominali, dunque quali candidati i partiti e le coalizioni ci hanno proposto. Perché si tratta di prendere o lasciare, non essendo possibile il cosiddetto voto disgiunto.
La competizione per ottenere seggi sembra ristretta ad una quadriglia, le due coalizioni di centro-destra e di centro-sinistra, il Movimento 5 stelle e Liberi e Uguali. Ma se abbiamo la pazienza, come è necessario per dovere di cittadinanza, di informarci, possiamo scoprire che in realtà la scelta è molto ampia, cosicché vi è ampia possibilità, per chi lo desiderasse, di affermazione identitaria o di protesta.
E qui sta il punto di queste elezioni per la XVIII legislatura, la risultante tra le ragioni della protesta e quelle della stabilità, i due sentimenti che ci percorrono. È qui il crinale stretto della governabilità italiana, che sembra sempre un miraggio. Non è questione di legge elettorale, come ci hanno spiegato, sbagliando, legioni di esperti e di politici. È questione di sistema: guardando tutti al breve o brevissimo termine non si consolidano né le forze politiche né gli indirizzi programmatici: ci si ingrossa all’opposizione e poi al governo ci si sgonfia.
Dal punto di vista dei contenuti la campagna elettorale non sembra avere detto nulla di nuovo. C’è un grande problema fiscale, e dunque di lavoro e di sviluppo, ci sono i problemi legati all’immigrazione, tanto quella reale che quella “percepita”, restano i grandi temi del riassetto delle infrastrutture e di quella grande infrastruttura che è la pubblica amministrazione, compreso il sistema educativo, scolastico e universitario.
In realtà il vero punto è che l’Italia europea, ovvero l’Italia che deve assumere il proprio ruolo nell’Unione, non ha bisogno di un continuo rilancio di presunte riforme, ma ha bisogno di buon governo responsabile e onesto, il buon governo delle cose ordinarie, il solo in grado di assicurare delle risposte serie all’oggettivo malessere in cui tanti oggi ci troviamo.
In questo senso forse non si è sentita abbastanza in questa campagna elettorale la voce dei cattolici, non per una affermazione identitaria, ma per ricordare a tutti il senso di un indirizzo di sviluppo complessivo del Paese. Un discorso comunque da riprendere urgentemente dopo elezioni incerte come quelle del 4 marzo, per offrire una sicura bussola per tutti.
Francesco Bonini